
E se la possibilità di registrare ricordi non fosse solo propria della nostra mente?
Parlando di memoria, immediatamente è possibile pensare e fare riferimento alla mente, quella parte di noi universalmente riconosciuta come capace di immagazzinare ricordi.
Parlando di mente è facile pensare di collocare questa parte di noi a livello del cervello, anche se di fatto il cervello ha un corrispettivo fisico contenuto all’interno della scatola cranica, mentre la mente è un concetto puramente astratto.
Da anni mi confronto con i ricordi, ahimè soprattutto traumatici, dei miei assistiti e da anni mi pongo sempre la stessa domanda: Ma dove risiedono esattamente i ricordi che uno ha?
Non avendo a disposizione una cerniera da aprire per osservare ciò che accade internamente a noi, gioco forza ci si deve fidare di chi azzarda ipotesi più o meno sensate in merito.
Ma benché molti ipotesi in merito siano autorevoli e universalmente riconosciute, rimango sempre dell’avviso che i nostri ricordi non si archivino solo a livello della mente o meglio a livello dei neuroni. Dico ciò perché quotidianamente mi capita di stimolare con dei massaggi muscoli traumatizzati e, mentre eseguo il massaggio, il diretto interessato comincia a rievocare il ricordo del trauma vissuto senza che ne faccia richiesta.
Per fare un esempio, ricordo con precisione che la prima volta che mi accadde di assistere a questa magia era il 1998: stavo facendo lezione sull’automassaggio del diaframma a un gruppo di professionisti. Improvvisamente, dopo circa un quarto d’ora di lavoro, una donna scoppiò in lacrime mettendosi le mani al collo come per cercare di liberarsi da qualcosa che la stesse strozzando e urlava “soffoco, soffoco!”. Rimasi impietrito ma non persi il controllo della situazione e, dopo qualche minuto, la donna smise di tenere le mani al collo e istantaneamente il piede destro cominciò a muoversi all’impazzata. Credevo di essere su Scherzi a parte!
Tornata la quiete le chiesi cosa era capitato e, per farla breve, raccontò a tutto il gruppo che aveva rivissuto tutto il “film” della sua nascita; cinquant’anni prima, in un ospedale di Venezia, sua madre la mise al mondo ma qualcosa non andò per il verso giusto: aveva diversi giri di cordone ombelicale attorno al collo ed era cianotica. Estratta dal ventre materno, venne considerata deceduta e messa sul “bancone dei morti” (sue testuali parole). Poco dopo, fortunatamente, un infermiere si rese conto del piede della bambina che si muoveva in modo irrefrenabile e comprese che quella bimba era viva e vegeta!
LE CELLULE MUSCOLARI DEL DIAFRAMMA AVEVANO TRATTENUTO PER CINQUANT’ANNI LA MEMORIA DELLA NASCITA, CONDIZIONANDO L’ELASTICITÀ’ DEL MUSCOLO STESSO CHE AVEVA CONTRIBUITO A GENERARE UNA FASTIDIOSISSIMA LOMBALGIA.
Terminato il racconto molto dettagliato, durato circa 20 minuti, il mal di schiena era completamente scomparso e la corsista esclamò a gran voce: “Ora posso dire di essere veramente nata!”
Ecco allora che la recente ipotesi che la memoria si immagazzini anche in tutte le altre cellule del corpo oltre che nei neuroni, si avvalora maggiormente e che i massaggi che riceviamo o gli esercizi di stretching che pratichiamo possono esserci di aiuto a far rilassare il muscolo che rimane contratto proprio per conservare la memoria dell’accaduto.
Da qui si profila l’enorme differenza tra fare esercizi in modo meccanico, che non favorisce la messa in relazione di una contrattura con un episodio accaduto, e fare esercizi con la “giusta presenza”, senza pensare ad altro se non a quanto stiamo facendo. Questa attitudine ci mette nella condizione di essere pronti a osservare varie possibili relazioni tra lo stato di rigidità muscolare e i traumi vissuti, agevolando il rilascio delle varie contratture attraverso la nuova consapevolezza acquisita.
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